Fuggiasco a Porto Ercole, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio ivi
muore nel 1610. Lo assiste il fedele servo muto Jerusalemme. Si rivive
la vita tormentata e tempestosa che il pittore condusse a Roma, tra
sordide avventure, risse e traversie di ogni genere; gli incontri
amorosi con l'amante Lena e con l'altro amante - il più noto fra i
modelli - Ranuccio Tomassoni che poi Caravaggio uccise a coltellate;
infine è tutta una sfilata di gente illustre o di bassa estrazione, con
cui il pittore si ispirava per le sue opere più celebri. Nell'agonia, il
Caravaggio riepiloga volti ed episodi, ricorda i vertici raggiunti, i
potenti incontrati, i momenti intensi della sua dissipazione come della
sua fama, ancora oggi straordinaria.
CRITICA
"Pittore
geniale e lombardo balordo. Michel Angelo Merisi (1573-1610) è un
soggetto ideale per il cinema: vita ribalda e vagabonda di ventura con
risse, ferimenti e un omicidio, torbidi rapporti con i potenti della
Chiesa e i bassifondi, - in odore di eresia per le inclinazioni
pauperistiche e le simpatie verso Giordano Bruno e i protestanti, morte
romanzesca. Il cinema gli si adatta anche perché è il pittore senza il
quale, forse, Rembrandt e Velasquez sarebbero stati diversi: Jarman lo
tiene per l'inventore della luce cinematografica. Eppure lo si è visto
sullo schermo soltanto due volte: la prima al cinema nel 1941 con Amedeo
Nazzari, la seconda volta sui teleschermi nel 1967 con Volonté e la
regia di Silverio Blasi. (...) La chiave di lettura del personaggio di
Caravaggio è di un'esplicita omosessualità o, meglio, di un'ostentata
ambiguità bisessuale. Eppure, sebbene sia impregnato di un diffuso
erotismo e di una violenza non sempre trattenuta, questo film sulla
pittura è casto. Jarman si è divertito: oltre a Caravaggio di cui mima i
quadri celebri alla maniera del Godard di 'Passion', cita Dreyer e gli
espressionisti, lascia fuori l'azzurro - dalla fotografia (Caravaggio
diceva che il blu è veleno), esibisce un anticlericalismo all'acido
prussico, si affida a un commento 'off' di un lirismo non sempre di
buona lega. Caravaggio è Nigel Terry (doppiato da Francesco Carnelutti);
tra gli altri ci piacerebbe rivedere al lavoro Tilda Swinton che fa
Lena, fulva meretrice di scattante energia e di obliquo sessappiglio."
(Morando Morandini, 'Il Giorno', 15 Giugno 1987)
"Solo esempi e pallidi richiami, comunque, perché le trovate del
racconto sono molte e non tutte così di superficie, anche se il peso di
questi stravaganti e qualche volta gratuiti segnali d'attualizzazione
non è sempre significativo. Lo spazio che occupano, difatti, è solo di
margine nel blocco narrativo, dominato nei contenuti dal tema
dell'omosessualità che illustri storici del periodo d'altra parte,
definiscono del tutto inattendibile e perfino offensivo. Accanto a
questo motivo, quello della visualizzazione dell'arte di Caravaggio e
della ricostituizione (in)fedele dei suoi procedimenti: sia negli
effetti plastici, sia nei riferimenti all'uso del colore. Con la
replica, nella fotografia mai leziosa di Gabriel Beristain, di una
sintesi grassa fra tonalità sobrie ma allo stesso tempo aspre,
drammatiche e potenti, ricondotte al dominio dei bruni e degli ocra. Val
la pena di ricordare anche i nomi dei due attori principali, Nigel
Terry nella parte di Caravaggio e Sean Berry in quella di Ranuccio né
troppo lucidi né troppo puntuali, ma forse proprio per questo capaci di
sintonizzarsi sulle bizzarre onde creative di Jarman." (Claudio
Trionfera, 'Il Tempo', 7 Giugno 1987)
"E' riuscita l'idea visuale del regista, tentare di ricreare nel film i
colori, i contrasti, le luci della pittura di Caravaggio. Riusciti pure i
quadri viventi usati, come fece Godard in 'Passion', per evocare alcune
tra le opere maggiori del pittore. Riuscito il film, dove omosessualitÃ
e cattolicesimo si legano in quell'intreccio che il luogo comune
inglese ritiene inevitabile, e spesso commovente, spesso capace di
restituire davvero il tormento della vita e l'estasi dell'arte. 'Un film
sulla pittura e sull'amore', lo definisce Derek Jarman. 'Un film sul
logorarsi dell'artista tra passioni private e vita pubblica,
sull'incapacità di dominare il successo, sul disgregarsi della
personalità nel successo'." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 26 Giugno
1987)