MARTEDI 11 LUGLIO 2023
SPETTACOLO ORE 21.15
GIOVEDI 13 LUGLIO 2023
SPETTACOLO ORE 21.15
Alla sua seconda regia cinematografica, Davy Chou sceglie di portare sul grande schermo la vita di Laure Badufle, un’artista coreana amica del regista, che all’età di un anno è stata adottata e trasferita in Francia.
L’idea di raccontare la sua storia nasce nel 2011, quando Chou era in Corea del Sud per presentare il suo documentario intitolato Golden Slumbers. I due si sono incontrati al Busan International Film Festival e, dopo un paio di giorni, la donna gli ha confessato che avrebbe visto suo padre biologico. “Mi ha detto: Ho inviato dei messaggi a mio padre. Ci incontreremo a Jinju domani. È a un’ora e mezza da qui. Vuoi venire con me? Abbiamo quindi preso un autobus e mi sono ritrovato a pranzo con loro due e sua nonna. È stata davvero un’esperienza toccante. Dai loro scambi trapelava un misto di emozioni: tristezza, rancore, incomprensione e rimpianti. C’era anche un qualcosa di tragicomico perché era chiaro che avessero problemi a capirsi” - ha spiegato.
Anche l’interprete che avevano portato era in difficoltà nel tradurre la rabbia di Laure. “Rimasi così toccato da quell’esperienza che decisi che un giorno l’avrei trasformata in un film. Dopo l’uscita di Diamond Island, il mio primo lungometraggio di fantasia, ho cominciato a pensarci di nuovo. Così ne ho parlato con la mia amica, che ne è stata entusiasta” - ha aggiunto. E proprio la loro amicizia ha permesso al regista di entrare in profondità nel tema, sviscerandone sentimenti ed emozioni: “Mentre scrivevo la sceneggiatura, le ho fatto tantissime domande perché, ovviamente, io non sono nato in Corea del Sud, non sono una donna e non sono stato adottato. Tale distanza mi ha fatto interrogare molto su quanto fosse legittimo, da parte mia, raccontare questa storia. Ma, a un certo punto, le cose sono cambiate e mi sono ritrovato a lavorare a questo progetto” - ha spiegato.
Il suo obiettivo, in quanto filmmaker francese razzializzato, era quello di mostrare il viaggio compiuto da una persona che non riesce ad adattarsi a una classificazione predefinita o al fatto che qualcun altro parli per lei. La protagonista della pellicola è interpretata da Park Ji-Min, un’artista che realizza opere d’arte plastica. Anche lei sudcoreana, arrivata in Francia all’età di otto anni. “Volevo ovviamente qualcuno che avesse un legame con il paese. Non aveva mai recitato prima ma, in maniera del tutto intuitiva e sorprendente, è riuscita a tirare fuori emozioni intense, passando da una violenza estrema a un’estrema vulnerabilità, tratto necessario per il personaggio di Freddie” - ha dichiarato Chou.
Durante le riprese Ji-Min ha fatto molte domande e mosso diverse critiche alla sceneggiatura, mettendo in discussione la relazione tra il personaggio e la sua femminilità. “Tali discussioni, che sono state a tratti anche abbastanza pesanti, mi hanno spinto a interrogarmi su me stesso. Mi sono reso conto che la mia posizione di regista uomo mi aveva probabilmente portato a riprodurre alcuni cliché. Ho capito che era necessario, da parte mia, cambiare prospettiva ed è stata un’esperienza davvero liberatoria. Ho anche capito che avremmo potuto creare solamente insieme, stando allo stesso livello” - ha concluso. L’ultima parte della pellicola è girata e ambientata in Romania, altro paese dove è molto sentito il tema delle adozioni forzate. Questo ha reso sicuramente più universale il progetto.
Non immaginavo minimamente che quel ritorno alle radici avrebbe stravolto la comprensione che avevo di me stesso. La vita ci porta a risemantizzare le identità e la nostra relazione con il mondo e con noi stessi. Freddie passa il tempo a reinventarsi, ridefinirsi e riaffermarsi. È la tematica universale dell’identità. Chi sono? Qual è il mio posto nel mondo? Dove mi colloco rispetto agli altri? (Davy Chou)