"Robert De Niro si è preparato al film in modo analogo a Christopher Reeves per 'Superman'. Per tre mesi, ogni mattina, ha fatto footing, salto alla fune, sollevamente pesi e pugilato autentico sotto la direzione di Jake La Motta medesimo. Al suo fisico incredibilmente asciutto ha agginto cinque chili, sei, di muscoli e nervi, dice l'ex campione, 'di acciaio come i miei'. Le riprese del quadrato tra l'anziano boxeur e il giovane divo sono state, riferiscono, uno spettacolo. De Niro ha imparato a tirare come un professionista colpendo spesso e duto, il suo grande maestro. Ma quello che ha stupito Jake La Motta è stato il modo con cui è entrato nel suo personaggio. 'Per questi tre mesi' - egli ha detto - 'si è praticametne installato a casa mia. Ha studiato i miei ritagli di giornali, le mie fotografie, parlato con tutta la famiglia, intervistato gli avversari di un tempo'. L'ex campione sostiene di non aver vissuto un'esperienza così traumatizzante 'neppure nel periodo in cui fui in cura da un formidabile psichiatra'. Martin Scorsese, che se potesse farebbe film solo con De Niro, spiega che l'attore, uscito dalla famosa 'Method Scool' di Strasberg, 'ritiene indispensabile conoscere anche l'aspetto fisico, le idiosincrasie esterne dei personaggi che sta interpretando'. Quando girò 'Il cacciatore', De Niro visse per qualche tempo con gli operai delle acciaierie di Pittsburgh e imparò ad andare a caccia al cervo sui monti Alleghenies. (...) Il film è ricco di pathos: La Motta, anch'egli italo-americano come De Niro, crebbe a Brooklyn in un rione detto la 'cucina dell'inferno'. Portò sul ring la furia, la volontà di emancipazione che avevano distinto la sua adolescenza." (Ennio Caretto, 'La Stampa')."Brodo di dado, ossia la maggiore delusione che ci abbia dato il regista americano Martin Scorsese dopo 'New York, New York': un film di due ore e otto minuti che sembra durare il doppio, una storia stanca e dispersiva, un ritratto di scarsa forza emotiva e di lieve spessore ideologico. Compiuto da Scorsese per rievocare il pugile italo-americano Jale La Motta, attivo negli anni Quaranta e Cinquanta, persino campione del mondo dei pesi medi, per cogliere nella sua ottusa brutalità il segno saliente di un'insicurezza, crudele e razzista, alimentata dalla miseria della Little Italy e dal miraggio della potenza. Cioè, sulla carta, un'altra tappa del cammino intrapreso da Scorsese per darci un'analisi sociopsicologica dell'ambiente dal quale egli stesso è uscito ma nei fatti una descrizione fiacca e letteraria, che non ci dice niente di nuovo, e dal punto di vista sportivo assai poco attendibile, giacché i suoi incontri di boxe sono condensati in scariche di cazzotti e in maschere sanguinanti (...). Nonostante gli Oscar che probabilmente prenderà , 'Toro scatenato' ha infatti una struttura narrativa e uno stile troppo più vecchi dell'età del regista, è corretto ma convenzionale nella pittura d'ambiente (con una musica di Mascagni poco adatta) e ci offre il ritratto di uno squilibrato che stinge nell'uggioso più che nel lirico-malinconico" (Giovanni Grazzini, 'Corriere della Sera')