DEREK JARMAN
Da un gusto esibito per l'oltraggio, legato alle esplosive stagioni del punk britannico e alla provocazione gay, a una quasi olimpica e composta poetica, questo il percorso di un cineasta bruscamente fermato dall'A.I.D.S., tra i più rappresentativi della scena inglese. Ha iniziato come scenografo per K. Russell in lungometraggi come I diavoli (1971) e Messia selvaggio (1976), per esordire nel 1976 con Sebastiane (1976), un film totalmente recitato in latino. Con Jubilee (1978) ha donato al movimento punk un manifesto ideologico-musicale-visivo cui riconoscersi, ma già in The Tempest(1982), ha mostrato i suoi legami e la sua passione per Shakespeare. Tra qualche documentario e uno straordinario e devastante atto d'accusa «filosofico» verso il suo Paese, The Last of England (1987), in Caravaggio (1986) ha lasciato intravedere quella che sarebbe stata da lì in avanti una delle sue dimensioni artistiche più feconde, la biografia ricostruita e attraversata da decontestualizzazioni contemporanee e inevitabilmente stranianti. L'applicazione dello stesso metodo in Wittgenstein (1993), dedicato al grande filosofo, si tradurrà in un film straordinario. Da notare comunque anche i precedenti Il giardino (1990), Edoardo II (1991) e Blue (1993). Nello stesso anno della sua scomparsa, il 1994, ha realizzato Memorial Tribute, estremo esempio di una dedizione assoluta e totale all'arte cinematografica, mentre nel 1995 è stato pubblicato postumo Derek Jarman's Garden.
La biografia del filosofo Ludwig Wittgenstein viene raccontata da Derek Jarman in modo unico e stravagante in questo piccolo ma geniale film, l’ultimo lavoro di fiction del cineasta inglese prima della sua scomparsa, a causa dell’AIDS, nel 1994.
Jarman, artista militante per i diritti LGBTQ+, mette in scena il padre della filosofia del linguaggio rappresentando visivamente i suoi ragionamenti, i teoremi, l’avversione per il mondo accademico e la lotta per vivere liberamente la propria sessualità , in un film gioiosamente queer sia nella forma che nel contenuto.
A supporto del regista inglese un grande cast, tra cui va sottolineata la presenza della sua musa per eccellenza, Tilda Swinton, nella parte della stravagante Lady Ottoline Morrell, e i magnifici costumi di Sandy Powell, stilista poi vincitrice di tre premi Oscar.
Wittgenstein torna in sala, in versione restaurata, in occasione del suo trentennale della sua prima alla Berlinale, dove si aggiudicò il Teddy Bear Award come miglior film a tematica LGBTQ+.
la critica all'uscita del film
"Com'era prevedibile difatti 'Wittgenstein' insiste sulla lotta contro una omosessualità mai accettata (e mai provata, a dire il vero), vista anche come emblema dell'impossibile conciliazione fra il corpo e lo spirito. Ma se la letteratura è volutamente faziosa, il gioco delle scene, dei costumi, delle battute è irresistibile. E Jarman, sulla scorta di una sceneggiatura firmata da un accademico eterodosso come Terry Eagleton (in uscita da Ubulibri) riesce anche a farci intuire le tappe di un pensiero in continua evoluzione. 'Mi sarebbe piaciuto scrivere un libro di filosofia fatto solo da scherzi, ma non ho humour', dice Wittgenstein sul letto di morte. In questo senso il film di Jarman è, anche, una specie di risarcimento".
(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 24 ottobre 1993)
"Affidandosi alla mediazione di ottimi interpreti, tra i quali spicca il lapidario Karl Johnson, Jarman sa alludere con grazia alla sostanza del discorso scivolando da un aforisma a una citazione musicale, da uno spunto poetico a un atto di dolore. Eppure suggellato dall'ultimo respiro del protagonista il film è attraversato da una strana gaiezza; la stessa che fece dire al tormentatissimo Wittgenstein sul letto di morte: 'Ho avuto una vita meravigliosa'."
(Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 1 ottobre 1993)
"Ci sono delle bizzarrie - un piccolo marziano tutto verde che discetta di filosofia con il protagonista, e l'alternarsi spesso senza ordine cronologico di passato e presente in qualche passaggio di generale confusione - ma le immagini e la loro novità stilistica riscattano tutto, specie quando la biografia, pur non di rado discutibile nelle sue motivazioni e nei suoi approdi, si incendia di una serie di aforismi tutti godibili e non solo intellettualmente. In fondo, nonostante i molti filosofi che si incontrano e l'adesione totale di Wittgenstein alla filosofia, la sua vita non ha mai niente di pesante né di accademico: è un fuoco di artificio, che il cinema esprime con eguale incandescenza. Il protagonista è Karl Johnson, che non a caso era Ariel nella 'Tempesta' di Jarman, Bertrand Russell è Michael Gough, la sua amica lady Ottoline Morrell e Tilda Swinton, partecipi anch'essi, da anni, del cinema di Jarman."
(Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 2 ottobre 1993)